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Esperienza

Fruit Logistica 2014. Qualche considerazione

Anche quest’anno c’ero anche io ovviamente. Mi riferisco a Berlino e a Fruit Logistica, dove settimana scorsa si è ritrovato praticamente tutto il mondo ortofrutticolo: un parterre internazionale completo che ogni anno si incontra nella capitale tedesca per conoscere le novità di settore, consolidare rapporti già esistenti con i propri clienti e magari stringerne di nuovi, con un obiettivo ben chiaro: internazionalizzare. Per me e la mia famiglia è qualcosa di naturale, vista la nostra vocazione all’export che ci contraddistingue fin dalla nostra nascita, ma sta ormai diventando un imperativo per tutto il mondo ortofrutticolo italiano a 360 gradi, vista la stagnazione dei consumi nel nostro paese.
Fruit Logistica è quindi un appuntamento, senza ombra di dubbio, imprescindibile: anche se non si è espositori, come nel mio caso. Sono stati 3 giorni, dal 5 al 7 febbraio, molto intensi, dove ho incontrato i clienti della nostra azienda nonché i breeders, vale a dire i costitutori varietali.

Quali considerazioni fare? Che l’uva senza semi si stia consolidando sempre più è un dato evidente che anche questa nuova edizione di Fruit Logistica mi ha confermato. L’innovazione varietale, poi, sta diventando un tema che oramai non si può più tenere in secondo piano, sapendo, però, che non è sufficiente per essere sicuri di aver imboccato la strada giusta. L’incrocio di varie stagionalità di uve con o senza semi che arrivano su diversi mercati da ogni parte del mondo crea una situazione complessa e quindi è facile, comunque, vivere periodi dove c’è maggior competizione, anche se si è operato con accortezza con nuove varietà.

Infine, tra i tanti stimoli che ci si porta a casa da Berlino ogni anno, quest’anno ne sottolineo due in particolare, legati a due paesi produttori di uva da tavola: Perù e Spagna. Il primo, tra i paesi emergenti, sta diventando un competitor sempre più agguerrito e da seguire con attenzione. Produce ed esporta sia uva da tavola senza semi che con semi con un rapporto qualità/prezzo interessante e si conferma sempre di più come un nostro competitor soprattutto nella parte finale della stagione.
Per quanto riguarda la Spagna emerge un dato che ci fa capire bene la differenza rispetto al nostro paese: la concentrazione di aziende più grandi rispetto alle nostre è sempre più evidente, nonché l’investimento direttamente sul campo. Basti pensare che mediamente ogni anno dalle nostri parti si impiantano 15 ettari di nuovi vigneti, mentre dalle loro 150.

Innovazione

Report e i brevetti

In un post di ottobre avevo cominciato a raccontare qualcosa del mondo dell’uva senza semi, consapevole che per molti consumatori, soprattutto italiani, questo vero e proprio universo appare a volte ancora misterioso. Spesso, soprattutto in Italia, quando ci si accosta all’uva da tavola senza semi molti si domandano, infatti, se dietro ci sia qualcosa di “ambiguo”. Se, in poche parole, questo frutto nasca da una manipolazione contro natura attuata dall’uomo. Per sgombrare immediatamente il campo da eventuali dubbi partiamo subito dalla risposta: no. Assolutamente no.

I breeder, vale a dire dei costitutori varietali, dopo anni di studi e ricerche scoprono nuove varietà di uva senza semi incrociando varietà già esistenti. Tutto qua. Gli oramai famigerati OGM non c’entrano nulla. Per ottenere una nuova varietà di uva senza semi i ricercatori non modificano geneticamente alcunché. È invece normale che chi ricerca e trova una nuova varietà di uva senza semi poi possa brevettarla e registrare un marchio. E, quindi, chi vuole coltivare queste varietà può dover pagare delle royalities. Di casi nel mondo dell’uva da tavola senza semi ce ne sono molti e prossimamente vi racconteremo caratteristiche e storia di molte di esse, che noi stessi coltiviamo.

Perché mi viene in mente tutto questo? Riflettevo su una puntata dell’oramai storico programma Report che va in onda su RAI 3. Lunedì 11 novembre ha dedicato una puntata proprio al tema dei brevetti, pur non occupandosi specificatamente di uva senza semi. Quella puntata partiva dai casi di colleghi che coltivano anche le cosiddette “mele club”. Pink Lady®, per esempio, certamente la più famosa. Niente altro che il nome commerciale di un varietà di nome Cripps Pink, originaria dell’Australia, ottenuta dopo aver incrociato altre due varietà, cioè Lady Williams e Golden Delicious. Chi l’ha selezionata ha brevettato la varietà, registrato un marchio commerciale e ora chi vuole coltivarla deve pagare delle royalties. Niente di così misterioso o anomalo. Succede, quindi, la stessa cosa anche nel mio mondo.

Successivamente la puntata si è però occupata invece di semi di colza, anch’essi brevettati e registrati con un macchio commerciale, ma ottenuti attraverso modificazione genetica. La prima cosa che ho pensato è stata: ma così c’è il rischio che un normale consumatore possa aver pensato che tutto ciò che è brevettato sia anche modificato geneticamente!

E questo è un vero problema, perché si rischia di confondere le idee, facendo sorgere sospetti inesistenti a consumatori che invece andrebbero guidati, sgombrando il campo da eventuali leggende metropolitane che non hanno motivo di esistere.

three grapes in different colors isolated on white
Esperienza

Come selezionare nuove varietà di uva da tavola (senza semi)?

Ricerca e sperimentazione. Ci eravamo lasciati così l’ultima volta che abbiamo parlato di uva da tavola senza semi. Ma, nello specifico, cosa significa esattamente? Prima di tutto è bene evidenziare come nel nostro mondo esistano i cosiddetti breeder, vale a dire i costitutori varietali. La maggioranza di essi ha sede negli Stati Uniti, in particolare in California, ma ce ne sono anche in Australia, Brasile o Sudafrica. Cosa fanno esattamente? Selezionano nuove varietà di uva da tavola. Con pazienza, molta pazienza, portano avanti nel corso degli anni centinaia di prove per individuare nuove varietà di uva che abbiano potenzialità produttive e commerciali. Ovviamente, per poter fare tutti questo, i breeder prendono in considerazioni moltissimi aspetti.Difficile elencarli tutti, ma alcuni sono fondamentali e sono alla base del loro lavoro.

Per esempio:

  • le nuove varietà di uva da tavola devono essere fertili, quindi generare molti fiori dai quali poi poter selezionare i grappoli migliori;
  • i grappoli devono avere una forma attraente. Cosa significa “attraente” vi chiederete probabilmente? Una via di mezzo tra tra un grappolo serrato e uno troppo spargolo;
  • Gusto, aspetto ovviamente fondamentale. Non sempre le varietà aromatiche, come il moscato, sono sempre le più gradite dai mercati. Quindi, proprio a seconda dei mercati di riferimento si sceglieranno varietà molto profumate e dolci, così come quelle che invece hanno un impatto al gusto diciamo più neutro, che non ha una valenza negativa;
  • È fondamentale che la nuova varietà non abbia bisogno di troppi interventi in vigna. Perché? Perché sono costosi, inquinano e hanno bisogno dell’intervento di manodopera specializzata che non sempre si trova con facilità. Tutti aspetti che, se tenuti sin dall’inizio sotto controllo, quindi sin dalle prove che si fanno per creare nuove varietà, consentono ti ottimizzare meglio nostro lavoro di produttori e di mantenere i costi bassi, non solo per noi, ma anche per il consumatore finale;
  • la nuova varietà deve avere una produttività buona e costante nel tempo e dare origine ad un’uva che abbia bune doti di conservabilità. La famosa shelf life;
  • la data di maturazione e raccolta deve avere una logica. deve cioè far sì che l’uva poi arrivi sul mercato all’interno di una finestra temporale interessante dal punto di vista commerciale. Quindi aspetti come la precocità di una varietà, piuttosto che la sua tardività, sono caratteristiche affatto secondarie quando un breeder deve decidere se puntare o meno sullo studio e la sperimentazione di una varietà di uva da tavola.