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Per Waitrose siamo un modello di Biodiversità

E’ evidente che la Vostra azienda abbia una posizione di leadership in questo campo e siamo dunque lieti di approvvigionarci di generi alimentari freschi da Voi

Ricevere una lettera con queste parole non può che far piacere a chiunque operi nel nostro settore. E così è stato anche per noi ovviamente! A scriverci è stato Alan Wilson, Technical Manager Agronomy di Waitrose, una delle catene di supermercati più famose e prestigiose al mondo.
Waitrose, infatti, ha selezionato l’azienda agraria Badessa, che fa parte del nostro gruppo, come modello d’impresa agricola “Demonstration Farm” per la categoria Biodiversità. Un tema, quest’ultimo, intimamente legato a quello della sostenibilità, che ci sta a cuore da tempo e che Raffaella Di Donna, responsabile della Qualità e del Marketing, segue con attenzione. (Ce ne ha già parlato qui).

Per saperne di più vi rimando all’articolo che il sito FreshPlaza ci ha dedicato

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Vendemmia. Ci siamo! O quasi…

Come potrete immaginare, per un produttore di uva da tavola, questo è un periodo delicato e decisivo: finalmente arriva la vendemmia. Quest’anno, però, non si può certo dire che sia filato tutto liscio.

Dopo aver avuto un inverno abbastanza mite e con pioggia non in abbondanza, i problemi sono arrivati in primavera, stagione molto importante per l’uva perché coincide con il momento della fioritura. Il ritorno del freddo ha condizionato non poco questa fondamentale fase fenologica dell’uva.

È successo che le uve precoci, sia senza semi – superior in particolare – che con semi – per esempio Vittoria e Black Magic – in particolare nelle zone dell’arco ionico, hanno avuto problemi di acinellatura. Che per noi produttori significa un aumento tremendo dei costi di lavorazione, sia in campo che nella selezione in magazzino.

Insomma, il tempo ci ha fatto disperare.

Anche perché dopo i freddi primaverili, un mese fa, ci si è messa anche la pioggia. Nell’area di Rutigliano, Casamassima, Acquaviva, le precipitazioni sono state fortissime e particolarmente intense. Sicché, è arrivato anche uno degli attacchi di peronospora più intensi degli ultimi 30 anni. Nonostante in azienda abbiamo seguito praticamente alla lettera tutte le indicazioni dei nostri tecnici agronomi, l’attacco è stato così forte che abbiamo perso molta uva in quelle zone, soprattutto di varietà ambite e nuove come Crimson e Scarlotta.

Che dire. Non ci resta che incrociare le dita con il naso rivolto al cielo, nella speranza che il tempo ci dia una tregua almeno in questo inizio di stagione della vendemmia.

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Niente nasce per caso. Soprattutto l’uva senza semi

Ci sono tanti motivi per rimanere affascinati dal mondo dell’uva da tavola senza semi. Insieme, col tempo, impareremo a conoscerli sempre meglio, scoprendo le tante varietà e le incredibili caratteristiche organolettiche che ognuna di essa riesce a donare. Alcune, quasi più sfacciate, con maggior esuberanza colpiscono già all’aroma, altre, più sottili nei tratti olfattivi, danno il meglio di sé al palato, per merito della loro consistenza e croccantezza.
Alla base di tutto ciò, però, c’è un aspetto che il più delle volte, soprattutto al consumatore finale, rimane più o meno oscuro, se non proprio completamente sconosciuto: la sperimentazione. Parola che fa rima con innovazione nel caso dell’uva da tavola senza semi.

Osservando i nostri vigneti, infatti, magari proprio quelli che guardano al mare, può sorgere il dubbio che madre natura faccia un po’ tutta da sola. In parte è anche così, ma oltre alla grande dedizione che l’uomo deve porre in tutte le attività colturali che portano al frutto finale che poi gusteremo sulle nostre tavole, a monte c’è anche un grande lavoro di ricerca, di prove su prove sul campo, di fatica. Qualcuno potrebbe obiettare che tutto ciò avviene un po‘ in generale in tutti i settori dell’agricoltura. È certamente vero, ma nel caso dell’uva da tavola senza semi, questi aspetti che stanno in cima al processo, sono quasi estremizzati, moltiplicati se vogliamo.

La mia famiglia è stata una delle prime, se non in Italia, certamente nella mia regione, la Puglia, a cimentarsi con l’uva da tavola senza semi. Siamo partiti a metà degli anni ’70. E abbiamo sperimentato. Tanto. Solo negli anni ’80 siamo partiti con un nostro primo progetto di una certa consistenza, comprando 150 ettari e dedicandoli esclusivamente a questa tipologia. La svolta negli anni ’90. La nostra vocazionalità all’export è un timbro di famiglia e sicuramente ci ha agevolato nel capire che eravamo sulla strada giusta. All’improvviso, infatti, i nostri clienti inglesi, cominciarono a ordinarci quantitativi nettamente maggioritari di uva senza semi. Tutto cambiò. Questa tipologia prese completamente il sopravvento. Da lì in poi non ci siamo mai fermati. Neanche con la ricerca, lo studio e la sperimentazione.

Ma questa è un’altra storia che approfondiremo nelle prossime puntate.